Page 11 - Corti di carta
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EMMA CONTA
“50, 51, 52, 53…” Emma continuava a contare i passi che la
separavano da casa. Aveva escogitato questo sistema per abbreviare
le distanze, per riempire il tempo del tragitto con la cadenza
rassicurante della ripetizione. All’angolo, l’edicola. In fondo, un po’
più a sinistra, l’insegna del panificio.
Aprì la porta: finalmente era a casa; indugiò prima di accendere la
luce. Le piaceva ritrovare le sue cose poco a poco: riconoscere
l’odore misto di cera e di rinchiuso, il ticchettio dell’orologio, la
trasparenza delle tendine sui vetri appena socchiusi. Ne aveva, di
tempo.
Si guardò allo specchio con un po’ di compiacimento che non
escludeva, però, il senso della critica più e più volte esercitata. Si
piacque e – del resto – chi avrebbe potuto contraddirla nel fare e
disfare, nella ragnatela di domande e risposte, nell’inevitabile
avvitarsi della sua esistenza?
Sì, gli avrebbe scritto. Domani, forse, non subito, oppure…
Il suo cervello si rifiutava di eseguire questa operazione, al
momento.
Emma scosse i capelli e li toccò, come era solita fare, arrotolan-
dosene una ciocca tra le dita.
Tutt’intorno si era diffuso il lieve tepore dei termosifoni; in
lontananza una musica le ricordò l’ultimo CD che aveva comprato.
Domani, forse domani gli avrebbe scritto.
Non le veniva niente, niente che le piacesse; le parole si aggro-
vigliavano senza riuscire a venire fuori. O troppo banali o troppo
insulse e pretenziose. E poi era la prima volta che rispondeva ad una
persona sconosciuta, conosciuta soltanto attraverso il computer.
Che bella invenzione! Scoprirsi appena un po’ e poi ritrarsi, al
momento opportuno, quando il gioco si faceva troppo scoperto,
quando era il momento di dire la verità vera, quando nessuna frase
bastava più a tenere in mano il filo delle convenzioni e delle
convenienze.
Suonò il telefono.
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