Page 8 - La via d'uscita
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bisognava allora convincerla a lasciare la scopa di saggina,
            e ad abbandonare lo  straccio con cui, maldestramente,
            strofinava qualche vaso di porcellana che avrebbe potuto
            rompersi.
              “Ma voi siete la signorina Agnese Trigona di Belmonte e
            Crìscina, non potete fare così. Questi sono i lavori di una
            serva come me, non di una nobile come voi.” Le toglieva di
            mano gli arnesi e la vezzeggiava un po’, ravviandole i capel-
            li che si arricciavano sotto le sue dita, lunghi e biondi. Più
            avanti, quando fosse cresciuta, si sarebbero scuriti, sicu-
            ramente, ma forse non avrebbero perso quell’ondulazione
            naturale che, unita alla corposità della chioma, avrebbero
            potuto dare vita a varie acconciature. E chissà se sarebbe
            stata ancora lei a pettinarla, se fosse rimasta a servizio in
            quella casa.

              Da Palermo, dove si era diffusa un’epidemia di colera,
            veniva Concetta, e la sua famiglia per sfuggire al contagio
            aveva dovuto, per così dire, smembrarsi. Il padre nell’ospe-
            dale, assistito dalla figlia Lucia. La madre, con l’altra sua
            sorella ed il fratello minore, avevano trovato ricovero a
            casa di una cugina nel contado vicino. A lei, la maggiore,
            era occorsa l’opportunità di lavorare presso questa ricca fa-
            miglia che trascorreva l’estate in campagna. Cosimo, il fat-
            tore, Mariuccia e poi ancora lo stalliere e tutto il personale
            addetto alla villa l’avevano accolta assai bene, ma spesso
            la prendevano in giro e questo scatenava un’accanita rivali-
            tà, perché il culto di sant’Agata era molto sentito da quelle
            parti.
                           “Sant’Aituzza, bedda e fina,
                           salvasti li genti da la china
                           Lu pettu ti scipparu ppi dispettu
                           ma tu, vergini picciridda ti niasti
                           e poi ‘n Paradisu t’assittasti…”

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