Page 9 - La via d'uscita
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Volavano stracci, e l’ampia cucina veniva totalmente
messa a soqquadro. Risate fresche, ingenuità che smorza-
vano momentaneamente quell’atmosfera un poco pesan-
te, fatta di lavoro continuo. Ma, si sa, i santi non possono
farsi la guerra per lungo tempo, e così l’acceso diverbio
dimostrava quello che poi era veramente: un pretesto per
distrarsi da cui emergeva, appena percettibile, una sorta di
ostilità sotterranea per chi veniva dalla capitale, per la pa-
lermitana. C’era anche da badare agli animali, da annaffia-
re il giardino dove in un garbuglio odoroso i sambuchi con-
vivevano con le rose, l’edera prepotente s’intrecciava con
il glicine nodoso. Questo a ridosso dell’ampio pergolato,
perché sul retro della casa, era campagna vera e propria.
La tenuta del barone Trigona si stendeva per ampi tratti
e in massima parte era occupata da una larga vigna confi-
nante con un discreto numero di alberi di ulivi secolari, da
un frutteto e, più lontano, quasi al confine della proprietà,
nella zona soprastante, da un castagneto.
“Uno-due-tre…” un passetto ancora e poi… l’abbraccio.
Agnese aveva imparato lì a muovere i primi passi, complice
Mariuccia e poi Concetta, tra i sentieri polverosi di quella
vigna, quando il sole non era più così caldo e filamenti di
luce arancione si incrociavano sui filari, tra una vite e l’al-
tra.
“Figghia mia, ti stimu assai, tu si lu suli, la stidda e li rai!”
Era proprio bella, infatti Agnese con i ricciolini da poco
spuntati che, così investiti dalla calda vampa accesa dal
tramonto, sembravano le piccole luci che circondano
un’immagine sacra.
Allora si approfittava del bel tempo, ché, altrimenti, que-
sti esercizi stentati si sarebbero svolti all’interno della villa.
Grande, rustica, ma elegante nello stesso tempo, era co-
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