Page 78 - Miette Mineo - La lava e la polvere
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Marta, ma non l’aveva trovata: doveva essere affaccendata chissà
           dove…Col cuore in tumulto, in preda ad una sgradevole sensazione,
           si era recata in camera del padrone recando con sé il lume, quel
           lume che aveva poggiato sul pesante mobile finemente intagliato.
              Le  sue  intenzioni  erano  state  chiare:  aveva  serrato  la  porta,
           l’aveva fatta indietreggiare sempre più, verso il letto, le sue braccia
           la stringevano in una morsa soffocante, una mano le tappava la
           bocca impedendole di urlare…
              Cos’è che le aveva reso impossibile divincolarsi con più forza,
           prendergli a morsi le mani che la palpavano dappertutto? Avrebbe
           potuto  scalciare  di  più,  rovesciare  le  suppellettili,  strisciare  per
           terra, ingaggiare una lotta disperata, tentare di fuggire, e chissà che
           la sua disperazione, alla fine avrebbe potuto avere il sopravvento
           sulla cieca bestialità dell’altro?
              Mille  pensieri le  attraversavano  la  mente,  in quel  momento:
           la zia nel letto dell’ospedale, Carmelo chissà dove, chissà perché
           perso nelle sue faccende e nei suoi progetti, sempre più distante,
           quasi inafferrabile, la casetta della zia chiusa per sempre, restituita
           alla proprietaria…
              Infine  Rosina  aveva  dovuto  cedere,  respirando  sempre  più
           affannosamente, col suo fiato sulla bocca, con gli urli e i singhiozzi
           che  si  mescolavano  al  suo  rantolo  di  piacere,  mentre  le  vesti,
           strappate e lacerate, formavano un mucchietto sul pavimento.
              S’era allontanata quasi di soppiatto, quasi fosse lei la colpevole.
              Era scivolata silenziosamente nei corridoi tante volte percorsi,
           aveva sceso le scale e aperto le porte che occorreva aprire.
              I capelli disfatti, il rossore sul volto ancora ansimante, l’impronta
           delle sue mani che la frugavano ancora.
              S’era  ritirata  nella  cameretta  che  occupava  da  quando  gli
           avvenimenti della sua vita avevano preso la piega che sappiamo,
           accolta e impiegata –a tutto servizio- dalla “carità” della baronessa.
              S’era lavata –tipico di chi ha subìto violenza- più e più volte,
           strofinandosi, insistendo sul seno, sulle braccia, sul collo, con furia



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