Page 79 - Miette Mineo - La lava e la polvere
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rabbiosa. Quando poi ogni centimetro era stato nettato e asciugato,
e dopo aver indossato un vestito pulito, s’era accasciata sul letto,
pesantemente, con gli occhi sbarrati a fissare il soffitto.
Segnata, messa nell’angolo per sempre.
La sua testa era confusa, le idee si rincorrevano tumultuosamente,
le martellavano il cervello in una ridda di supposizioni e di
suggestioni veloci come lampi che illuminano momentaneamente
una stanza buia per poi scomparire e riapparire. In quest’alternanza
di coscienza ed oblio, una sola convinzione era netta e presente su
tutte: che per lei, ormai, non c’era più niente da fare, che la sua
storia era già compiuta, secondo il disegno perverso e ineludibile
di un copione già scritto e rappresentato parecchie volte.
Era certa che quanto era accaduto si sarebbe ripetuto ancora,
purtroppo.
Si rannicchiò su se stessa, facendosi piccola piccola: avrebbe
voluto essere inghiottita dal buio che s’era impadronito dello
spazio circostante, disperdersi nei rigagnoli silenziosi della notte,
confondersi con i flebili mormorii della natura.
Tentò di pregare. Le prime frasi si sovrapponevano l’una
sull’altra, quasi non le distingueva più dal battito cadenzato del
respiro, dai singulti che le avevano bagnato il volto. Si addormentò,
di un sonno carico e ingombrante.
Cosimo Moncada s’era alzato più tardi, quella mattina. Doveva
avere bevuto la sera precedente, perché un cerchio gli stringeva la
testa e aveva la bocca asciutta come la terra della piana sotto il sole
d’agosto.
Quando a poco a poco recuperò la sua lucidità, pensò che la
serata doveva essersi conclusa in maniera inusuale. Il lume era
ancora poggiato sul comò, ed era spento da un pezzo.
Allora ricordò, e un sorriso beffardo e trionfante gli illuminò il
volto scuro.
Ma sì, quella servetta, quella …Rosina, come si chiamava,
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