Page 84 - Miette Mineo - La lava e la polvere
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estimatori  del poeta catanese  Giuseppe  Artale, il cui bizzarro
           sonetto della Maddalena piangente, tanto lo aveva deliziato che
           spesso ne declamava i versi davanti agli amici più intimi.


              Il potere della città era in mano ai nobili da tempi antichissimi.
           Le persone che ricoprivano le più alte cariche municipali venivano
           scelte sempre tra le famiglie più in vista dell’aristocrazia catanese.
              Dal secolo XV il re Alfonso aveva concesso alla città che il
           popolo adunato a consiglio nominasse a maggioranza trenta elettori
           nobili tra i più stimati perché formassero le liste degli eleggibili
           alle cariche municipali, da cui ogni anno venivano tratti a sorte con
           delle polizze messe in un vaso o in un berretto i titolari degli uffici.
           Col tempo queste liste o mastre erano divenute registri permanenti,
           in cui venivano aggiunti man mano i nomi dei discendenti di
           quelli già elencati e di nuovi iscritti attraverso un rigido sistema
           di controllo. In questo modo il governo della città era monopolio
           di una ristretta oligarchia, e veniva precluso l’accesso alle cariche
           pubbliche  a  coloro  che  dimostrassero  di  avere  le  competenze
           necessarie.  Il  tentativo  fatto  dal  viceré  De Acuna  nel  1492  che
           istituiva  un  consiglio  di  “probi  viri  de  populo”  ad  referendum,
           era stato abolito dal Vega nel 1551, che aveva ripristinato l’antico
           sistema.  Ciò  contribuiva  ad  accentuare  il  malcontento  che  la
           cittadinanza nutriva nei confronti della macchina amministrativa,
           e favoriva ribellioni e rivolte.
              A capo dell’amministrazione comunale era il Patrizio, e questa
           carica venne affidata ripetute volte ai membri delle famiglie più in
           vista, come i Platamone, i Sigona, i Gravina, i Tedesco e i Paternò.
              Il Capitano, cui spettava la giurisdizione del mero e misto impero
           ed  era  capo  della  curia  criminale,  veniva  invece  nominato  dal
           Viceré, e questa nomina esterna aveva una funzione di riequilibrio,
           in quanto permetteva ad altre famiglie l’accesso a tale ufficio.
              Ma dove si concentravano gli appetiti della nobiltà locale erano
           le nomine per le cariche di Giurato, Giudice ideota, Acatapano,



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