Page 89 - Miette Mineo - La lava e la polvere
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CAPITOLO XIII
Due anni dopo l’esplosione dell’Etna, un’altra calamità s’abbatté
sulla sfortunata città: una terribile carestia come da anni non se ne
registravano più.
Quell’inverno non era piovuto per niente. I pozzi mostravano il
loro fondo asciutto e pieno di crepe; gli animali boccheggiavano
leccandosi pigramente il corpo magro su cui si posavano senza
sosta mosche e tafani, i frutti languivano sugli alberi non riuscendo
a maturare.
La povera gente, quella che già viveva di stenti in condizioni
normali, soffriva ancor più pesantemente di fronte a questo nuovo
disastro.
Il prezzo del pane era salito e diventava sempre più frequente
vedere mendicanti agli angoli delle strade tendere la mano o,
peggio, rovistare tra i cumuli di rifiuti ammonticchiati vicino ai
palazzi dei nobili, alla ricerca di qualche resto di cibo.
L’ospedale san Marco era pieno e solo l’ospitalità caritatevole di
alcuni ordini religiosi riusciva a far fronte alle numerose richieste
di soccorso.
La zia Ignazina era morta l’anno precedente e l’unica
consolazione di Rosina, nel chiuderle gli occhi, era che l’anziana
non avrebbe mai potuto sapere quello che poi sarebbe accaduto.
Rosina aveva partorito una bambina esile come un giunco e
con la pelle ambrata dei Moncada. Era nata dopo la sua dipartita,
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