Page 91 - Miette Mineo - La lava e la polvere
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che aveva visto raffigurata in un libro della biblioteca del palazzo.
Padre Girolamo Altoviti l’aveva abbracciata lungamente, aveva
pronunciato parole di conforto come solo un padre sa fare e aveva
vezzeggiato la piccola, dopo averle versato sulla fronte l’acqua
benedetta del fonte battesimale.
L’affetto e la solidarietà di queste semplici persone avevano
reso meno aspro il percorso che Rosina era stata costretta a fare.
Lavorava qualche ora, saltuariamente, laddove c’era bisogno:
presso qualche famiglia o presso qualche monastero dei dintorni,
sperando che prima o poi le buone suore l’avrebbero chiamata per
impegnarla a tutto servizio.
La sera, stanca morta dopo una giornata trascorsa strigliare
pavimenti e a lavare biancheria, l’unico suo conforto era dar da
mangiare alla sua piccolina, lisciandola e vezzeggiandola con un
fervore quasi morboso, quasi volesse recuperare il tempo trascorso
lontano da lei.
“Figghia mia si’ picciridda.
La ‘uccuzza ti ciàura ri murtidda,
Supra la frunti purtati ‘na stidda.
‘Na stidda ri Livanti,
Stidda ri calamiti e ri diamanti,
Figghia pri fari a ttia priari li Santi.”
Le pettinava i morbidi e setosi capelli neri, le aggiustava la
cuffietta sulla testa, le infilava il vestitino che lei stessa aveva
cucito consumandosi gli occhi a lume di candela. La chiamava
con mille nomignoli, inventava una serie infinita di vezzeggiativi,
e dopo essersela messa accanto, crollava di botto in un sonno di
piombo fuso.
Il lussureggiante giardino dei Benedettini era ormai un ricordo
nella mente di Giacomo: la lava aveva cancellato tutto quel verde
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