Page 96 - Miette Mineo - La lava e la polvere
P. 96
il suo desiderio di giustizia. Aveva dimenticato la sua vita privata,
aveva cacciato in un angolo remoto del suo cuore persino il tenero
sentimento che stava nascendo per Rosina.
Dopo il diniego opposto dall’abate alla timida richiesta di carità
avanzata dal giovane padre Moncada, aveva deciso che non era
più il momento delle preghiere, ma bisognava agire con decisione
e spietatezza.
Il malcontento serpeggiava tra la popolazione, e non solo
da parte degli umili. Si criticava il cattivo comportamento dei
monaci, la loro ingordigia, l’insensibilità dei nobili che godevano
di immensi privilegi e governavano la cosa pubblica con cieca e
ottusa avarizia, non considerando affatto che potevano esserci dei
talenti capaci, più e meglio di loro, di ricoprire le cariche pubbliche.
Carmelo, ad esempio, era convinto di potere aspirare a pieno
diritto alla carica di Acatapano. Il servizio che prestava al convento
di addetto al trasporto e allo smistamento delle derrate alimentari
gli aveva fatto acquisire una certa dimestichezza sulla genuinità
delle merci e sull’adeguatezza dei prezzi. Sapeva riconoscere
con una rapida occhiata la bontà di un prodotto e aveva un fiuto
particolare nel riconoscere le frodi. Per quanto riguarda il vino, ad
esempio, sapeva benissimo che quello che veniva fornito ai monaci
era di primissima qualità, ma sapeva anche quali erano i fornitori
che spesso lo allungavano ed alzavano anche il prezzo, e tutto ciò
a danno di coloro che non potevano difendersi.
E poi: chi lo aveva detto, o meglio, dove stava scritto che per
partecipare alle cariche pubbliche bisognava per forza essere di
nobile lignaggio? Era tutta una convenzione, un patto scellerato
che i nobili avevano stipulato (anche nascostamente ai viceré) tra
loro per avere sempre le mani in pasta, per detenere sempre quel
potere che gli permetteva di primeggiare in ogni tempo.
La tenue luce di alcune fiaccole illuminò un angolo nascosto
della Torre.
96