Page 99 - Miette Mineo - La lava e la polvere
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L’indomani l’agitazione della notte appena trascorsa era
disegnata sulla sua faccia, tanto che il buon Alceste che lo vide per
primo non poté fare a meno di guardarlo sbigottito e di chiedergli
se avesse per caso incontrato il diavolo, quella notte.
“Altro che diavolo! Lo facciamo fuggire noi, il diavolo!” e giù
una serie di frasi confuse e senza senso che lasciarono ancora più
perplesso il buon frate.
Ma la loro attenzione fu presto calamitata dall’avvicinarsi del
giovane frate Moncada con un gruppo di novizi che dopo avere
pregato e consumato la colazione, si recavano nelle aule per le
consuete lezioni.
Giacomo sembrava perfettamente a suo agio tra i giovani che lo
circondavano, distribuendo sorrisi e chiacchierando piacevolmente
con ciascuno di essi; certamente lo faceva per alleggerire la tensione
che tra poco li avrebbe attanagliati al tavolo di studio, da cui non
si sarebbero più allontanati fino all’ora di pranzo: ma c’era forse
qualcosa di più di un semplice rapporto tra maestro e discepoli: si
percepiva una sorta di carisma che la sua persona esercitava su di
loro, al di là di ogni obbligo conventuale.
Carmelo lo guardò lungamente, fino a quando non vide sparire
l’intero drappello dietro l’alto colonnato del chiostro.
E allora un rapido pensiero gli attraversò la mente: gli venne
l’immediato impulso di renderlo partecipe di quello che stavano
preparando. Era certo che Giacomo avrebbe capito, li avrebbe
appoggiati. Ma fu solo un attimo, e si rese subito conto dell’assurdità
di questo pensiero: tra i nobili c’era suo fratello Cosimo, e forse
qualche altro personaggio che aveva condiviso qualche pezzo della
sua vita passata.
Ritornò precipitosamente alle sue consuete incombenze.
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