Page 170 - Corti di carta
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riconobbe in tralice quella massa scura che aveva sul petto…quasi se
            n’era scordato.

               L’indomani, una domenica cupa e stentata per via di un sole
            anemico   che   faceva   capolino   tra   stracci   di   nuvole   grigiastre,   si
            svegliò di malumore.
               «Te lo porto il caffè?».
               «Sì, ma’, adesso vengo io». E si stiracchiò pigramente guardan-
            dosi la punta dei piedi che uscivano fuori dalle pantofole aperte.
               Alzarsi, lavarsi, vestirsi. Trascinandosi raggiunse il bagno e si
            spogliò: aveva bisogno di una buona doccia. Fu allora che ebbe la
            prima avvisaglia di ciò che stava succedendo. Davanti allo specchio,
            con lo sguardo finalmente lucido e terso, si accorse che il becco
            dell’aquila non sfiorava più la sua spalla, ma sembrava insinuarsi
            sotto   l’ascella   sinistra,   mentre   la   sagoma   del   petto   col   vistoso
            piumaggio   andava   ben   al   di   sotto   della   sede   primitiva,   fino   a
            lambirgli l’ombelico.
               Max ebbe un sussulto e l’asciugamano gli scivolò dalle mani:
            intontito, guardò bene ancora una volta, ma non c’era alcun dubbio:
            sembrava proprio che il rapace si fosse ingrandito…o forse era lui
            che si ricordava male, o forse non era del tutto sveglio e stava
            sognando ancora.
               A colazione fu di pochissime parole, e del resto c’era sua madre
            che compensava il suo mutismo, raccontandogli con mille particolari
            storie che non lo interessavano affatto, che riguardavano parenti e
            vicini di casa di cui non ricordava nemmeno il nome.
               Eppure era vero: s’era guardato per l’ennesima volta, incredulo e
            sbigottito: l’aquila si stendeva anche verso la parte destra del petto,
            aveva coperto con il suo colore nerastro il capezzolo, cominciava ad
            invadere anche la spalla destra, minacciava i fianchi, l’addome, di lì
            a poco avrebbe lambito la peluria del pube fino al sesso.

               Bisognava tornare dall’autore di tanto scempio. Un negozietto
            stretto e lungo come un corridoio, tra stradine e viuzze affogate in un
            quartiere popoloso e multietnico. La piazza del mercato, ‘a fera o’
            luni, era lì, piena di nordafricani e di cinesi, ma soprattutto cinesi,
            che affollavano con le loro mercanzie i banconi della strada laterale,
            tra scatoloni di rifiuto e balle di cellophane appena scartato.


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