Page 109 - Miette Mineo - La lava e la polvere
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CAPITOLO XVI
Erano trascorsi già dieci anni da quando Giacomo Moncada
aveva pronunciato i voti, ed il suo prestigio all’interno del
Convento era cresciuto. All’Abate precedente ne era subentrato
un altro, di carattere più mite e di spirito “più evangelico” e questo
s’accordava maggiormente con il temperamento del Nostro.
Non era difficile vederli conversare amabilmente sotto i portici,
quando durante la passeggiata pomeridiana si radunavano tutti i
confratelli prima della preghiera che precede la cena serale.
Cena, dobbiamo dire, molto parca e frugale, consumata con più
rigore e devozione.
I tragici avvenimenti di sei anni prima, le terribili esecuzioni
consumate davanti agli occhi atterriti, ma a volte compiaciuti del
popolino, erano stati rimossi, quasi esorcizzati. La città aveva
ripreso le sue consuete abitudini e, superati i penosi frangenti della
carestia e delle calamità naturali, un certo benessere si poteva a
volte avvertire soprattutto durante il periodo del raccolto o quando
il tempo diventava più clemente.
I poveri erano poveri, ed i ricchi continuavano a condurre la
loro vita parassitaria, ma non c’erano più stati motivi di tensione e
di scontro.
Carmelo si era miracolosamente messo in salvo fuggendo a
Messina e approfittando della guerra tra Spagnoli e Francesi, si
era arruolato con varie mansioni nell’esercito spagnolo, portando
messaggi e rifornimenti nelle retrovie. Sperava con ciò di
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