Page 110 - Miette Mineo - La lava e la polvere
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acquistare  delle  benemerenze  che  potevano  servirgli  per  il  suo
           rientro a Catania, in cui contava di rimettere piede non appena il
           suo nome, già poco noto per fortuna, sarebbe stato completamente
           dimenticato.

              Rosina cresceva la sua Stella, che ormai aveva nove anni ed era
           prossima alla prima Comunione, sempre lavorando di qua e di là,
           assistita dalla carità di Marta e dagli amorevoli consigli di padre
           Girolamo, che per lei era l’unico punto di riferimento e a cui era
           devotissima.
              Spesso si recava dal buon parroco per sfogarsi e per chiedere
           consiglio.
              “Se  solo  potessi  avere  un  poco  di  denaro!  Con  quello  che
           guadagno  non posso certo  mettere  qualcosa  da  parte!  E  se non
           fosse per Marta che ci tiene con sé, non avrei neppure dove stare!”
              Le suore di san Benedetto la facevano lavorare come conversa,
           ma  non  volevano  prenderla  in  convento  con  la  figlia,  perché  –
           dicevano- non c’era posto per loro.
              La  bambina,  però,  cresceva  bene  e  veniva  su  snella  e  dritta
           come la statua della Madonnina con la sua bella stella in fronte.
           Rosina l’adorava,  la  trattava  come  una principessa,  imitando  i
           modi signorili di casa Moncada, di cui anche lei –senza volerlo
           ammettere- subiva la fascinazione del ricordo.
              Ma si struggeva, vedendosi così isolata e temendo per il suo
           futuro  così  simile  al  proprio. Avrebbe  fatto  chissà  che  cosa  per
           evitarle quello che lei –che altre come lei- avevano dovuto subire.
              Non passava mai vicino  casa Moncada, e se per necessità
           doveva farlo, preferiva allungare il percorso attraversando stradine
           tortuose, o facendo lunghissimi giri che la portavano lontana, ma
           le impedivano la vista di quei balconi e di quelle inferriate corrose
           dalla salsedine.


              Una  grande  affinità  cominciava  a  legare  l’Abate  al  nostro



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