Page 111 - Miette Mineo - La lava e la polvere
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Giacomo, divenuto decano e preposto all’istruzione e all’educazione
dei novizi.
Gli argomenti che spesso li trovavano d’accordo riguardavano
certamente le Sacre Scritture, che leggevano e commentavano
insieme, ma soprattutto la conduzione del Convento che, negli
ultimi anni di reggenza del predecessore, mostrava una pericolosa
deriva.
E quindi spesso i due discutevano sui provvedimenti da prendere
per ripristinare le regole conventuali nella loro primitiva integrità.
Frequentemente l’Abate, il Priore claustrale e il collegio dei
decani, in alcuni casi erano dovuti intervenire con severità e
decisione per punire ed anche espellere dal monastero e dall’ordine
benedettino alcuni monaci che si avvalevano dei beni del convento
a proprio vantaggio, o che comunque non si attenevano alle norme
prescritte.
In quegli anni alcuni monaci vennero condannati per aver dato
scandalo con la loro condotta: chi introduceva donne di malaffare,
chi proferiva parole oscene o bestemmiava, chi defraudava il
Monastero di grandi quantitativi di frumento, chi percepiva
illecitamente da diversi inquilini il fitto dovuto alla comunità…
Furono quindi ribadite delle norme col preciso intento di
circoscrivere ed eliminare gli abusi, che erano veramente
intollerabili in un luogo di culto e di preghiera.
Per espressa volontà di Giacomo, che aveva in cura la
preparazione dei novizi, fu proibito di mangiare fuori del Refettorio,
di ricevere parenti o amici secolari nelle celle, di andare in città se
non in compagnia, di non mancare alle lezioni di casi di coscienza.
Giacomo aveva capito che la severità era necessaria per
mantenere e ristabilire l’ordine, ed il suo carattere aveva acquistato
un’intransigenza che nemmeno lui avrebbe sospettato di avere.
La sua figura aveva l’imponenza dell’uomo fatto: una leggera
pinguedine, ereditata dal padre, insieme con un inizio di calvizie
non lo rendevano certo più ascetico, ma gli occhi erano diventati
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