Page 24 - Miette Mineo - La lava e la polvere
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Aveva gli occhi ancora pieni, la baronessa, della lunga tavola
coperta dalla preziosissima tovaglia di fiandra, su cui facevano
bella mostra di sé ogni genere di dolci e trionfi di frutta di
stagione. Gli innumerevoli candelabri, disseminati qui e là in ogni
angolo dell’ampio salotto, rimandavano la loro luce scintillante
moltiplicata dalle specchiere contornate di stucchi dorati.
Gli ospiti erano di tutto riguardo, come spesso a casa Moncada.
Il Senato era al gran completo, e così anche il Vescovo e la parte
più ragguardevole del Clero cittadino. Non mancavano nemmeno
L’Abate ed il Priore di san Nicolò, venuti un po’ in ritardo per
impegni claustrali.
Alla luce degli spazi interni, che disegnava incredibili ricami
sulle pareti finemente damascate, facevano da contrappunto esterno
le luminarie, le fiaccole, i bagliori e i fragori della festa.
Che quell’anno era stata particolarmente ricca e coinvolgente,
quasi che al popolo catanese si volesse dare un conforto preventivo
su quello che sarebbe successo in seguito, anche se nessuno era in
grado di prevederlo.
Vedova da cinque anni, ancora molto bella, la baronessa era
originaria di Palermo; la sua famiglia era addirittura imparentata
col viceré Simone Ventimiglia marchese di Geraci che aveva
governato più di un secolo prima.
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Aveva poi sposato, più per la pressione dei familiari che per
sua volontà, il barone Augusto Moncada di Francofonte e si era
trasferita a Catania, dove aveva continuato a risiedere dopo la
morte del marito. Inquieta e altezzosa, discretamente colta come
poteva esserlo una donna siciliana di quei tempi, nutriva una
sorta di velato disprezzo per la città etnea che considerava molto
provinciale rispetto alla sua città d’origine, e da cui sperava sempre
di allontanarsi, un giorno, per rientrare nella capitale.
Le sue feste, cui partecipavano le famiglie più in vista, erano
memorabili, e alla loro organizzazione dedicava tutto il suo tempo.
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