Page 33 - Corti di carta
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Sua madre parlava al telefono, ma tra poco avrebbe chiamato.
C’era da sistemare la spesa e cominciare a preparare la cena, poi
ingaggiare una lotta senza quartiere per i compiti, poi sistemare la
cucina, poi preparare la mamma per la notte con tutto il corredo di
pillole, cuscini, zanzariera, poi…
Matilde ebbe un attimo di panico: si sentì subissata da una mole
di incombenze tutte ugualmente necessarie e nessuna improrogabile.
Temette di non farcela più.
E invece ce la faceva: caparbiamente, senza chiedere niente a
nessuno. Rispondendo con un sorriso alle sgarberie del nipote, alle
intemperanze della mamma, alle mute richieste del fratello.
Quella volta, invece, l’aveva notato. Sarà perché s’era fermato là,
accanto ai surgelati, impedendole di aprire la porta, senza farlo
apposta, e Matilde aveva pensato perché non si toglieva di mezzo.
Invece aveva notato gli occhi azzurri dietro le lenti e i capelli
lievemente brizzolati accanto alle tempie.
“Sul traghetto, accanto all’autobus, c’è una grossa
limousine nera con un autista in livrea di cotone bianco […]
C’è ancora il vetro scorrevole tra l’autista e il padrone. Ci
sono ancora gli strapuntini. È ancora grande come un salotto.
Dalla limousine un elegantissimo signore mi guarda. Non è
bianco, ma è vestito all’europea, con il completo di tussor
chiaro che indossano i banchieri di Saigon. Mi guarda. Io ci
sono abituata. Nei paesi coloniali tutti guardano le bianche,
anche se sono bimbette di dodici anni…”
Lesse queste ultime parole quando il campanello l’avvertiva che
qualcosa sul fornello, aveva completato la sua cottura. Cercò e trovò
faticosamente una cartolina da mettere in mezzo e corse a spegnere il
fuoco.
«Matildeee!!!! Ma è mai possibile? È un’ora che ti chiamo... che
cosa stai facendo? C’è Angelina, qui al telefono, che ti vuole parlare!
– il tono della sua voce si faceva meno concitato – sai, vogliono
venire a farci visita, questo pomeriggio».
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