Page 32 - Corti di carta
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E Matilde guardò la testaccia sempre arruffata, la consistente
            peluria sul labbro superiore che tra poco avrebbe richiesto l’inter-
            vento di una lametta. I denti non erano proprio dritti, ma suo padre
            non aveva voluto spendere una lira per l’apparecchio.
               «E che è, una femmina?» ripeteva suo fratello. Di soldi, in effetti,
            ce n’erano pochi, da quando doveva pagare l’avvocato.
               La cucina? Ma era ancora la sua cucina quella che sembrava
            investita da un ciclone? Dappertutto piatti, posate, la padella con i
            residui delle uova strapazzate, strofinacci buttati di traverso.
               «Potevi almeno aspettare che ti preparavo, non mi hai dato nean-
            che il tempo...».
               Ma tanto lui non ascoltava neanche, preso com’era dalla sua
            musica a tutto volume.
               «Fai piano, che svegli la nonna! S’è appena addormentata».

               Una lotta continua. Un vagare incessante da un ambiente all’altro,
            aggiustando qui e là, l’orecchio sempre teso alla stanza della mam-
            ma, pronta a correre, se necessario.

               Quando doveva uscire per fare la spesa Matilde si preparava in
            fretta, senza neanche specchiarsi. Infilava la giacca, una spazzolata
            alle scarpe, e via…
               Quella volta Dario l’aveva accompagnata con la pretesa di riem-
            pire il carrello delle cose che gli piacevano di più e infatti patatine e
            ketchup, merendine e kiwi traboccavano da ogni dove, alimentando
            l’immaginario di un adolescente-tipo.
               Inizialmente non l’aveva notato, anzi non l’aveva visto proprio
            neanche quando, pagando il conto, s’era frapposto tra lei e il carrello
            precedente.
               Era alto e abbastanza impostato. Indossava una maglia a righe e
            dei jeans scoloriti; i capelli erano un po’ lunghi ed incolti, di colore
            castano chiaro. Gli occhiali da intellettuale.

               A casa s’era abbandonata un attimo sulla poltrona, aveva acceso
            meccanicamente   la   televisione,   mentre   Dario   armeggiava   con   la
            play-station.
               «Devi fare i compiti, adesso! Basta giocare!».




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