Page 34 - Corti di carta
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I parenti sarebbero venuti a trovarli nel pomeriggio e occorreva
alla svelta comprare qualcosa da offrire. Quando cercò di mettere in
moto per raggiungere il supermercato, l’auto ansimò e ondeggiò
ripetutamente, poi si avviò con un’impennata violenta e improvvisa.
Matilde sfiorò con lo sguardo rassegnato la vernice sbiadita, il
fanalino mancante, l’ammaccatura sul lato sinistro.
Pensò per un attimo, solo per un attimo, alla limousine nera con
autista che aspettava, sul traghetto del Mekong, del Mekong, appun-
to. Le sue labbra si incresparono in una smorfia.
«Signorina, scusi, è suo?» Matilde si girò di scatto e lo vide
porgerle il pacchetto con aria interrogativa.
«Sì, dev’essere mio. Mi è caduto, non mi sono accorta. Grazie!».
Aveva il viso appena abbronzato e sorrideva, i denti leggermente
in fuori. C’era un neo proprio sulla guancia sinistra.
Mentre faceva la fila per pagare Matilde si guardò con più di
un’occhiata distratta allo specchio che era là, proprio dietro le casse.
Un paio di jeans qualsiasi un po’ a zampa, ma – si sa – lei non ci
teneva a queste cose, i capelli giù informi e opachi, il colorito un po’
spento. Pallida.
La cassiera dovette ripeterle due volte se aveva 45 centesimi per il
resto.
“Il signore elegante è sceso dalla limousine, fuma una
sigaretta inglese, guarda la ragazza con il cappello da uomo e
le scarpe d’oro, le si avvicina lentamente. È palesemente
intimidito. Non sorride subito, prima le offre una sigaretta. Gli
trema la mano […] Le dice che quel cappello le sta bene,
benissimo, che è originale, un cappello da uomo, perché no?
Carina com’è, può permettersi tutto”.
Non c’era davvero bisogno di lottare contro il sonno e la
stanchezza. Le parole scivolavano, l’avvolgevano. Le penetravano
dentro. Così facilmente come se l’avesse vissuta, quella situazione.
Matilde chiuse un attimo gli occhi, gli avvenimenti concitati e banali
della giornata le ritornarono confusamente e rapidamente alla mente.
Si stiracchiò, assumendo una posizione più comoda.
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