Page 28 - Corti di carta
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sguardo ironico e un po’ distaccato.
Abbiamo fatto tante cose insieme che non è facile ricordarle tutte:
viaggi, appuntamenti di lavoro, provini, conferenze.
C’è la storia di una fotografia che mi piace tenere tra le cose più
care. Questa fotografia è anche la storia di un percorso personale.
Alcuni amici di Marco gli fanno sapere che stanno selezionando
degli addetti alla fotografia, a Roma, per fare dei servizi per Amnesty
International. Non si tratta solo di un viaggio di lavoro, ma di una
iniziativa umanitaria e di volontariato.
Si tratta di compiere un vero e proprio reportage in qualche parte
dell’Africa e di fornire anche alcuni dati utili all’organizzazione.
Mi viene in mente che quando ero al Liceo alcuni membri di A. I.
erano venuti a parlarci della pena di morte, suscitando un dibattito
interessante e raccogliendo poi delle firme per gli appelli. Ricordo
gente molto in gamba e motivata.
Ne parliamo anche se l’impresa appare molto difficile: Marco
insegna ed io svolgo la mia attività saltuariamente presso uno Studio.
Alla fine decidiamo che sarò solo io a partire.
La meta è la Somalia: attendo con ansia l’esito della mia richiesta,
documentandomi il più possibile.
Ho davanti a me quella fotografia, finita su un opuscolo, ma così
importante per me. La guardo con gli occhi socchiusi, assaporando
quanto di sudore, di fango, di faticose traversate sulla jeep mi è
costata.
Rivedo come in un film gli odori, gli umori, i suoni di un paese
così straordinario da sembrare irreale. Un paese devastato dalla
guerra, stremato da una fame atavica, immiserito da una religiosità
feroce e primitiva.
Ripenso a quella luce così intensa e abbagliante spalmata miraco-
losamente su quegli altipiani dove l’occhio si perdeva all’infinito,
punteggiati soltanto da qualche raro arbusto aggrovigliato e contorto,
sferzato da un vento millenario.
A quegli stracci di nuvole corrusche che interrompevano qua e là
il dilagare di quel cielo irreale. Non ricordo mai di averlo visto
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