Page 93 - Corti di carta
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LE FIL ROUGE





               «Sono questi i tuoi spartiti? Prendili!».
               Il tono della voce era imperioso, di quelli che non ammettono
            repliche. Ettore vide soltanto una cascata di capelli fulvi e una mano
            protesa con i fogli.
               Non avrebbe potuto muoversi, perché quando Mainardi spiegava
            non   ammetteva   nessun   movimento,   nessuna   distrazione.   Le   sue
            reazioni erano inaspettate e potevano diventare violente.
               Il suono acuto del violino e l’infinita ripetizione delle note lo
            tenevano appiccicato al suo leggio, con l’orecchio teso a cogliere la
            minima difformità dallo scritto.
               Fuori la città si stendeva pigramente, in quell’ultimo scorcio di
            gennaio. Era ormai tardi e l’ultimo vaporetto si allontanava verso la
            stazione ferroviaria. Uscito dall’Auditorium preferì dirigersi da solo
            nell’intrico di campi e calli in cui a stento cominciava a racca-
            pezzarsi, tanto sembravano uguali.
               Il vento si era appena calmato, lo sciacquio dell’acqua dei canali
            accompagnava i sui passi come un contrappunto cadenzato.
               “Ancora un po’ d’esercizio e ci riuscirò”.
               La mente tornava ai solfeggi, alle modulazioni che riusciva ad
            eseguire. S’accarezzò col pollice libero della mano destra l’indice
            della stessa mano, un po’ ispessito per l’uso.
               “Tra un po’ avrò il callo” pensò, e non poté fare a meno di
            sorridere a se stesso, pensando ai segni che le esercitazioni lascia-
            vano sul suo corpo. Gli piaceva pensare che la sua “arte” fosse
            indissolubilmente congiunta alla sua pelle, al suo involucro sensibile.
               Il  suo  orecchio,  indubitabilmente  più  acuto,  percepì  il sottile
            crepitio che la chiave produceva nella toppa.
               “Ma cosa diavolo…” Guardò bene, allora. Un foglio di carta,
            ripiegato in due, era lì, tra la serratura e lo stipite della porta.
               Lo sfilò e con aria dubitativa, entrò in casa.
               “Bel tipo quel Mainardi! Il prototipo del musicista a tutto tondo:
            genio e sregolatezza, capelli grigi fluenti sulle spalle, aria trasognata.
            Ma le sue ire erano proverbiali. Pretendeva il massimo  dai suoi
            allievi. Era pronto a dare il massimo”. Non poté fare a meno di


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