Page 95 - Corti di carta
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Cominciarono a parlare fittamente mentre s’avviavano verso la
saletta della lezione di Pagnozzi.
«Hai ricevuto il mio biglietto?»
Non solo aveva i capelli rossi, di un rosso caldo che sconfinava
nell’oro, mossi e morbidi, ma anche due occhi grigio-acciaio che lo
fissavano con aria interrogativa.
Se n’era quasi scordato, di quel foglio piegato in due e recuperato
la sera precedente. Cercò di farfugliare qualche scusa plausibile.
«Sìì, cioè no. Non so. Mi pare di avere un altro impegno, stasera.
Comunque grazie. Scusami. Non ricordo il tuo nome».
«Costanza». Gli tese la mano «Do-diesis è gergale, è uno scherzo.
Ci hanno presentato l’altra sera amici comuni, i Pivetti».
La ragazza sorrise leggermente per mascherare l’imbarazzo di
entrambi. «Va bene, sarà per un’altra volta, ci vedremo. Abbiamo gli
stessi corsi».
La lezione stava per cominciare. Occorreva fare silenzio.
Con un guizzo improvviso Costanza si diresse al suo posto, dove
non era più visibile.
All’uscita Ettore e Carlo si diressero a mangiare un panino nel-
l’attesa di rientrare per il seminario pomeridiano.
«Sai che non ti capisco proprio? Non puoi continuare così.
Sembra che al di là di queste quattro note e del tuo archetto non
t’importi di niente e di nessuno. Per esempio, stasera, perché non
vieni con noi? Stiamo insieme, facciamo quattro chiacchiere, man-
giamo qualcosa, vediamo gente».
Ettore sorrideva, imbarazzato.
Non era mai stato un gran “compagnone”, ma ora si rendeva
conto che forse stava esagerando. Alla fine l’amico desistette.
«Non ti capisco proprio».
Alle diciotto erano già tutti fuori, ma Ettore si staccò dal gruppo
per rientrare a casa facendo un giro un po’ più lungo.
Gli piaceva cambiare sempre percorso, scoprire gli angoli
nascosti e segreti che la città riservava a coloro che sapevano
cercarli. Dapprima si presentava in tutto il suo splendore, elargendo a
piene mani tesori di incomparabile quanto proverbiale bellezza. Poi
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