Page 24 - La via d'uscita
P. 24
del barone e famiglia aveva reso orfani della sua genero-
sa ospitalità e che avevano accettato con gioia l’invito che
suonava come un preludio al ritorno definitivo del loro
amico.
All’annuncio che la tanto sospirata cena era finalmente
servita, i convitati si alzarono con fare compunto e aria di
circostanza.
La tavola era apparecchiata in modo impeccabile. La can-
dida tovaglia di Fiandra accoglieva piatti, bicchieri e posate
che erano stati portati dal palazzo, affinché non si dicesse
o – soltanto – si pensasse che in campagna la famiglia Tri-
gona rinunciasse allo stile e all’abbondanza che la contras-
segnavano.
In mezzo, un basso e largo vaso accoglieva i fiori di sta-
gione, in cui le zinnie di un rosa acceso si facevano spazio
tra le dalie gialle e le margherite tardive, inframmezzate da
tralci di foglie di edera e qualche pampino di vite.
Ma l’abbondanza e la varietà delle pietanze ebbe modo di
riempire la vista prima ancora che soddisfare il gusto.
Si cominciò con gli antipasti, costituiti da quattro gran-
di piatti colmi di caponata, saporita e sugosa, e di pepe-
ronata in cui si fondevano e si alternavano peperoni verdi,
gialli e rossi creando un vivace cromatismo. Seguivano le
uova sode, sgusciate e ripiene di odori e di salse varie, le
verdure “maritate”, insaporite dopo essere state passate in
padella e soffritte. Non mancarono le zuppe, di ceci, fave e
fagioli, legumi non di stagione, ma opportunamente con-
servati dall’inverno precedente; le olive, nere, tonde, o ver-
di in salamoia, condite con prezzemolo ed aglio vennero
portate in due o tre piatti oblunghi. Vera novità, importata
da Napoli, il timballo di riso croccante servito caldissimo
dopo essere stato cucinato in uno stampo a ciambella, e
poi capovolto sul piatto di portata. Ma “il piatto forte” era
costituito dalle carni, privilegio che ai tempi ben pochi po-
tevano permettersi e a cui aveva alquanto contribuito l’at-
22