Page 127 - Tempo scomposto
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dopo un primo momento di adattamento, le strade si mo-
stravano completamente svuotate a tutte le ore: non una
macchina, non il consueto rumore delle attività pulsanti
e invadenti che caratterizzavano la bolgia giornaliera dalla
quale si sarebbe volentieri fuggiti, ma un irreale, incredibi-
le silenzio interrotto solo ogni tanto dal suono allarmante
di qualche sirena. I rarissimi passanti, resi irriconoscibili
dalle mascherine, si affollavano davanti ai supermercati e
alle farmacie in attesa paziente del proprio turno e, man-
tenendosi a distanza di sicurezza, intrecciavano dialoghi in
cui prevalevano l’incredulità e la preoccupazione, le criti-
che al governo che sapeva e non aveva agito, o aveva agito
male, l’ansia per la cessazione degli impegni di lavoro, il
timore di perdere tutto quello che faticosamente si era co-
struito.
Il pensiero non poteva non andare alla ricerca che ave-
va completato pochi giorni prima; una cinquantina di
cartelle fittamente riempite, ore di studio, di lavoro d’in-
terpretazione che l’avevano così tanto impegnata e che
delineavano una situazione di contagio allarmante, ma
completamente diversa da quella che si stava attualmente
vivendo; il virus di adesso si presentava come un nemico
invisibile, insidioso, subdolo che si poteva evitare solo di-
stanziandosi, indossando la mascherina e lavandosi fre-
quentemente le mani. Di fronte a tutto ciò l’immagine di
una città come Messina che aveva fronteggiato quasi tre
secoli prima quella pericolosa epidemia di colera appariva
più artigianale, più umana e tutto sommato meno inquie-
tante. Le sembrava di percepire gli umori e gli odori di una
città brulicante e viva, attenta e capace di creare cordoni
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