Page 130 - Tempo scomposto
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potuto avere l’appoggio necessario per potere organizzare
il mio rientro a casa.
Abbandonai l’albergo in tarda serata, con le cautele che
il caso richiedeva, ma nessuno ci fermò per strada. Con
le mani quasi tremanti di emozione per il passo che stavo
per compiere, sistemai le mie cose nella stanza di sopra,
quella degli ospiti o quella che era appartenuta a sua figlia.
Gradii molto questa discrezione e quest’offerta di liber-
tà; Antonio si proponeva come un compagno affidabile
e aveva ben capito che non avrei gradito dormire con lui:
troppi salti in avanti avrei dovuto fare nel nuovo percorso
e la contingenza che stavo vivendo non li autorizzava cer-
tamente.
Le giornate si presentavano più dense di significato e ri-
empite dalle cose da fare; andavamo a fare la spesa in paese
bendati come i banditi e mantenendo la giusta distanza;
organizzavamo il pranzo che non era più il boccone man-
dato giù e sommariamente cucinato nella pensione; ci
perdevamo in interminabili disquisizioni sull’uso degli
ingredienti e sul loro utilizzo; sarebbe stato divertente se
il contesto non fosse stato quello che era; non avevo det-
to a Bianca che mi ero trasferita e con chi ero. E queste
indispensabili bugie mi provocavano un senso di disagio,
come se fossi stata colpevole di chissà cosa. Almeno così
sosteneva Antonio che cercava di tacitare in ogni modo la
mia coscienza.
Il pomeriggio, dopo la mattinata dedicata alla spesa ed al
pranzo potevamo finalmente rilassarci, sentire le notizie
che si susseguivano a raffica nei telegiornali e nei program-
mi di approfondimento che avevano soltanto il potere di
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