Page 130 - Miette Mineo - La lava e la polvere
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Partito  precipitosamente  all’alba  del  giorno  che  aveva  visto
           sventare la congiura contro i nobili, Carmelo si era recato alla volta
           di Messina dove contava di mettersi in salvo presso un parente
           lontano che però era scomparso qualche tempo prima.
              Rimasto solo e senza mezzi, si era arrangiato adattandosi ai lavori
           più umili e svariati, ma poi era stato travolto dagli avvenimenti
           che abbiamo descritto; in un primo tempo aveva parteggiato per
           i francesi, ma poi, quando il volgere delle cose cominciava  a
           ristabilire la supremazia spagnola, era stato assunto al servizio di
           don Alvaro de Cabral, stretto collaboratore del viceré De Gusman.
              La sua avversione contro i dominatori  spagnoli non s’era
           attenuata: intimamente era convinto che bisognava cacciarli via,
           perché ad essi attribuiva gran parte delle ingiustizie di cui il popolo
           era vittima, ma il pericolo corso lo aveva reso più guardingo e
           più  realista;  per  questo  aveva  accettato  senza  troppi  patimenti
           morali di mettersi a loro disposizione: prima o poi questa guerra
           sarebbe finita, e che cosa avrebbe fatto lui se i francesi fossero stati
           sconfitti? Sarebbe rimasto senz’arte né parte? Il suo obiettivo era
           quello di ritornare a Catania, a riabbracciare quelle poche persone
           che conosceva e con cui aveva dei vincoli affettivi. Ritornare al
           convento, riprendere la sua vita di sempre, farsi una famiglia.
           Queste erano le cose di cui avvertiva acutamente il bisogno. La
           sua vita raminga, trascorsa qua e là, a scansare pericoli, a servire
           padroni esigenti e inaffidabili pur di salvarsi la pelle, non faceva
           più per lui.
              Era cambiato anche fisicamente: la corporatura s’era fatta più
           massiccia e muscolosa; i capelli, sempre nerissimi, erano diventati
           più radi: del ciuffo nero non c’era più nessuna traccia e al suo posto
           aveva fatto crescere una fitta barba che gli incorniciava il volto
           spesso corrucciato. Il lungo esercizio alla pazienza e all’attenzione
           lo aveva reso sospettoso e vigile, sempre presente a se stesso e
           aveva  spento  la  giovanile  baldanza  che  lo  rendeva  tanto  facile
           agli entusiasmi quanto pronto agli scoramenti. Era un uomo fatto,



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