Page 66 - Miette Mineo - La lava e la polvere
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abbattuta sulla città etnea.
Quest’opera, composta su imitazione del ben più famoso e
illustre capolavoro tassesco, l’aveva intitolata “Catania liberata”
e non vedeva l’ora di ricevere consensi e applausi dall’illustre
auditorio.
C’erano poi il Capitano del popolo con la famiglia, il Rettore
dell’Università con alcuni docenti a lui più legati e qualche
ragguardevole famiglia dell’aristocrazia catanese: i Gravina, i
Landolina, i Sismondo e gli Alessi. Questi ultimi avevano portato
con sé le due figlie nubili e graziose: Costanza e Grazia, sperando
che almeno una, forse, avrebbe potuto interessare il primogenito
di casa.
Giacomo conversava strettamente accanto al priore, in
atteggiamento di compunta partecipazione. Il suo colorito
bianchissimo spiccava sull’abito nero. Cosimo scherzava con le
due Alessi, dando sfogo alla sua verve, come si poteva notare
dalle frequenti risate che le due ragazze, visibilmente compiaciute
dall’attenzione mostrata per loro dal giovane, frequentemente
punteggiavano i loro discorsi.
La baronessa Agata stava dando gli ultimi ordini alla servitù,
mentre le signore conversavano amabilmente e gli uomini erano
intenti in un’accesa disquisizione sui danni dell’eruzione.
Il notaio era un uomo di mezza età, alto, dal colorito tendente
al giallastro, con un pizzetto brizzolato che gli conferiva un’aria
vissuta e gli occhi piccoli e vicini, vivacissimi e penetranti.
Agata fece silenzio e annunciò all’auditorio la gradita sorpresa
che il notaio aveva preparato: avrebbe declamato, per la gioia di
tutti, alcune parti del suo componimento poetico che celebrava lo
scampato pericolo.
“Canto l’armi celesti, e l’Heroina
che liberò la sua gran patria offesa.”
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