Page 143 - Corti di carta
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chiudersi in camera.
Si liberò dei vestiti, si sdraiò sul letto mezzo sfatto, prese il
foglietto sfiorandolo con le labbra, come a volerne sentire l’odore.
Le parole le ballavano sotto gli occhi: poche, in realtà, ma
sufficienti a procurarle un battito accelerato e tumultuoso, un rime-
scolio languido che solo il respiro, divenuto più affannoso, riusciva a
contenere.
Si guardò, allora, mentre lo stereo appena acceso inondava la
stanza semibuia con le sue note. Allo specchio, con stupore e
consapevolezza insieme, osservò la curva arcuata dei fianchi, la
pienezza della parte superiore delle gambe, le spalle dritte e sfiorate
dai capelli che scendevano ancora più giù.
Un senso di vittoria, di trionfo quasi, per questa sua bellezza che
riceveva conferme e regalava aspettative.
Alzò ancora di più il volume quasi volesse assordarsi o delegare a
suoni impersonali il compito di esprimere la sua gioia.
«Ma sei proprio antica!». Vale la prendeva in giro, ridacchiando e
passandosi la lingua sulle labbra, ripetutamente. «I ragazzi bisogna
usarli, e basta! Ma che cosa pensi? Magari lui, in questo momento,
starà forse con qualcun’altra dopo avere riso di te o avere scommesso
su di te! Prenditelo, se ti va, e non ci pensare più…Io i ragazzi li
conosco».
La discoteca era proprio affollatissima in quel momento. Sulla
pista non c’era quasi lo spazio di muoversi, la musica era quasi
assordante, le luci fosforescenti si alternavano a momenti di buio.
Deborah e Sergio ballavano, o meglio, tentavano di divincolarsi tra la
folla.
Lei lo seguiva, mano nella mano, come se non avesse più dovuto
lasciarlo.
Le era bastato il suo sguardo quando era venuto a prenderla sotto
casa. Sapeva che gli occhi le brillavano e non solo per via del-
l’ombretto luminescente. Sapeva che la gonna dell’abito si fermava
al punto giusto dopo averle fasciato il busto.
Vale insieme ad altre due ragazze stava là, in fondo alla pista,
avvinghiata ad un palo, agitandosi sinuosamente al suono della
musica.
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