Page 142 - Corti di carta
P. 142

Una pacca sulle spalle di Vale proprio quando li ebbero superati,
            ricordò   a   Deborah   il   terribile,   micidiale   ascendente   che   l’amica
            esercitava sui maschi.
               Forse era il modo di muoversi, o lo sguardo obliquo e legger-
            mente allusivo, fintamente ingenuo, fatto sta che tutti sembravano
            pendere dalle sue labbra e non desiderare altra cosa che acconten-
            tarla.
               «Non mi dire che Roberto? E cosa gli hai dato in cambio?».
               «Non sono affari tuoi».

               Deborah sospirò guardando l’amica, ma non c’era invidia, né
            gelosia: semplicemente due mondi diversi, a volte incomunicabili.
               Incrociarono stavolta un gruppetto di compagne un po’ dimesse e
            defilate tra cui faceva spicco Nora che era la più brava e che fece una
            smorfia a Vale, non nascondendo affatto la sua antipatia, sedimentata
            nel tempo e irrobustita dai successi immeritati della compagna.
               «Gliela farei vedere io, se potessi, a quella smorfiosa...» sibilò
            Vale a mezza bocca, rivolgendosi a Deborah e prendendola sotto-
            braccio con complicità.
               Lei la guardò con aria un po’ preoccupata, perché conosceva le
            ire dell’amica, e una volta aveva assistito ad un litigio furibondo che
            aveva ingaggiato con la vicina di banco solo perché le aveva preso il
            diario senza chiederle permesso.
               Era la fine della ricreazione ed i ragazzi si dirigevano, come un
            fiume in piena, nelle proprie classi. Deborah incontrò Sergio mentre
            sorpassavano insieme un ingorgo della fila. I suoi occhi, appena
            incorniciati dai capelli lunghi e castani, divisi in due, le piacevano
            più d’ogni cosa: azzurro chiaro con un cerchietto nero intorno al-
            l’iride.
               Sembrava  che l’aspettasse o volesse vederla, perché sentì un
            pezzo di carta finirle dentro la tasca dei pantaloni.
               Passò così l’ora successiva concentratissima sulla lezione, appa-
            rentemente. In realtà quel foglietto se lo lisciava con la mano rimasta
            libera sotto il banco, rimandando a dopo il piacere di leggerlo.

               A   casa   mangiò   tranquillamente,   masticando   boccone   dopo
            boccone, rispondendo alle domande dei genitori, lei che spesso era
            prigioniera   di   un   mutismo   esasperante.   Non   aspettava   altro   che


                                          140
   137   138   139   140   141   142   143   144   145   146   147