Page 137 - Corti di carta
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L’INTERVISTA
Questa intervista è un sogno: o meglio, si svolge come se l’avessi
sognata da sempre in un luogo non eccessivamente lontano; in un
Marocco distante non troppi chilometri, ma in una dimensione così
remota da apparire atemporale.
Siamo in un hammam dove le donne mussulmane si recano a fare
il bagno e gli ambienti sono separati da pareti di legno traforato,
bellissime pareti che lasciano filtrare suoni e parole, oltre che una
luce sontuosa ed obliqua. Lì, in questo luogo d’incontro, è facile
scambiarsi confidenze e intrecciare amicizie. Devo esserci capitata
per caso, vagabondando in uno dei miei tanti viaggi, oppure mi ci
hanno mandata per lavoro, non lo so…
Lei si alza, apre la porta, cammina un po’ a tentoni, la fa
accomodare. Una tenda a righe arancione fa filtrare la luce di un
pomeriggio di mezzo giugno.
Semplice. La voce esce dolce e modulata, le parole si susseguono
senza esitazione e senza imbarazzo. Del resto lei è abituata a parlare
in pubblico.
«Adesso mi tocca, è nel mio ruolo».
L’altra si avvicina a lei, la penna in mano, pronta a scrivere. Entra
subito in argomento, senza esitazione, senza differimenti.
«Quando è successo? Da quanto tempo sei così?».
«Da sette anni la mia situazione si è stabilizzata. E da un certo
punto di vista, meglio. Perché prima ho passato un periodo di
transizione molto brutto, in cui alternavo periodi di luce e di buio».
Una frase breve, minimalista in cui sono condensati un lavorio e
un travaglio non indifferenti, non indolori, pensa l’altra.
Le parole rimbalzano leggere, con levità. Ma tutt’altro che lievi
sono gli argomenti.
«Adesso sono serena, sto molto meglio. È strano pensare come la
diversità possa essere una ricchezza in più, la ricerca di soluzioni
alternative, un altro orizzonte che ti schiude mille possibilità che
altrimenti non avresti considerato».
«È dura?».
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