Page 138 - Corti di carta
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«È dura comunque. Ho una signora che mi accompagna nei miei
spostamenti, ma io sto sola in questa casa da quindici anni, conosco
l’ambiente, il quartiere, ho voluto rimanere qui. I miei genitori sono
favolosi, mi hanno aiutata e supportata sempre, con l’intelligenza e il
distacco necessari».
Glielo chiede, adesso. Prima occorreva “togliersi il dente”. Non si
poteva prescindere da quell’argomento.
«Credo che la vocazione per il volontariato ci sia stata sempre, o
mi sbaglio?».
È ben felice di rispondere. Il volto s’illumina, le mani si agitano,
seguono le parole.
«Ho un carattere netto e deciso. Fin da piccola ho fatto qualunque
cosa: scout, parrocchia, progetti di animazione…
Da sei anni collaboro con Amnesty, da cinque lavoro al Centro
Astalli.
Fuori il rumore di qualche auto che si allontana, l’abbaiare di un
cane solitario.
Qualcuno chiama al telefono; lei si disimpegna subito: “Ci
sentiamo dopo,
Ora ho da fare, non sono sola…».
L’impegno sociale, cos’è per lei? Fare qualcosa per mettersi il
cuore in pace o una ragione di vita più profonda e radicale?
Glielo chiede, ma sa già la risposta.
«No, il cuore in pace, affatto. Anzi, il mio cuore è in continuo
conflitto con tutto ciò che succede sul nostro pianeta.
Il mondo va a due velocità. C’è un Sud del mondo che vive in un
inimmaginabile stato di disagio. Lo tsunami, ad esempio, ha cancel-
lato delle intere zone. Ci sono persone che sono rimaste senza patria,
senza identità. Ogni giorno, in Darfur, muoiono 75 bambini sotto i
cinque anni per malattie che sarebbero prevenibili e curabili.
Tutto ciò mi crea un continuo lavorio, un continuo confronto.
Non si può rimanere indifferenti. Agire per gli altri è un fatto civile,
innanzi tutto.
Ma il pensare sull’agire è quello che coinvolge interamente la
persona e la fa cambiare, perché la cosa più difficile non sono i
grandi gesti, ma vivere il quotidiano, l’ordinario. In questo senso io
sono soggetto e oggetto di volontariato…».
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