Page 82 - Corti di carta
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La lettera l’aveva ricevuta giovedì mattina tra la pubblicità e
qualche avviso di pagamento. L’indirizzo era stato scritto a mac-
china. “Strano” aveva pensato lei, “chi scrive più a macchina? Oggi
si manda un’e-mail”.
Poi aveva letto il contenuto: “Sarò giorno 18 dalla signora Carla.
Ti aspetto. R.”
Camminava con la testa bassa. I suoi pensieri correvano paralleli
sul pavimento, quasi tracciassero un solco. Le sedici e venti.
«Scusi». Un uomo l’aveva urtata con un ombrello semiaperto.
Grigio. Il palazzo era alto, grigio, pieno di finestre. All’interno un
cortile ben curato occupato da aiuole che al momento erano divise in
solchi regolari, contornati da siepi. Si sarebbe detta una casa da
ringhiera perché balconi con ringhiere che si rincorrevano occupa-
vano tutta la facciata interna.
La signora Carla? L’aveva quasi dimenticata, nello scorrere
frettoloso della sua vita. Ci andavano, tutte compagne di scuola, a
prendere ripetizioni di matematica. Lei voleva essere chiamata così,
e non professoressa, come sarebbe stato più logico fare.
Allora la vita aveva il sapore acerbo di un frutto da gustare,
l’attesa sbigottita di qualcosa da sperimentare.
«Ti piacciono i capelli così?» aveva chiesto a Renata che
camminava piano, accanto a lei. Erano lunghi, con la riga in mezzo
come quelli di Marianne Faithfull.
Lei aveva fatto una smorfia e guardandola di traverso aveva
risposto, con sufficienza: «Ti spunta il naso! I tuoi occhi brillano di
luce morta, non mi piacciono i tuoi occhi. Guarda invece i miei! Hai
visto come mi trucco adesso? Metto un po’ di matita nera lungo il
bordo delle ciglia, così risaltano di più».
Una trafittura, una puntura dritta al cuore. Angela aveva indie-
treggiato un po’ accusando il colpo. A quindici anni certe cose fanno
male.
Lesse i cognomi dei campanelli, si soffermò su quello che le
interessava, suonò, attese la risposta.
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