Page 85 - Corti di carta
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Avevano portato il tè; ormai i convenevoli erano finiti da un
            pezzo e parlavano a due a due, scambiandosi confidenze più intime.
               «Sì, faccio l’avvocato, adesso. Ho uno studio avviato, e tu? Hai
            saputo niente di Renata? Me l’ha scritto lei di questo incontro, ma
            ancora non la vedo».
               «No, so solo che ha pubblicato un libro, è diventata una scrittrice,
            sai?».
               Le parole volavano, leggere. Ma queste si fermarono un po’ di più
            nella mente di Angela.
               Ancora un punto. Un punto a suo favore, cioè. Stava per caso
            riemergendo l’antico antagonismo? Non ebbe tempo di interrogarsi,
            in quel momento.
               Lo scambio festoso continuava. Chi mostrava le fotografie di
            qualche figlio, chi parlava della sua crisi coniugale, chi dei successi
            del marito che era diventato procuratore.

               Nero. Un pianoforte verticale, poggiato alla parete. Lo vedeva
            solo adesso, perché era rimasto nascosto dietro un ampio tendaggio
            che la signora Carla aveva chiesto di scostare.
               Fu solo un attimo. Lei si sedette e cominciò a suonare, tra gli
            incoraggiamenti e i gridolini festosi delle sue ospiti, dei pezzi facili,
            conosciuti: la Marcia turca; Sonata al chiaro di luna; Notturno.
               Il  solito  vizio,  la  solita   abitudine.  Quella  di  stare  un   po’  in
            disparte e di osservare le cose che la circondavano con distacco. Ad
            Angela sembrò che il tempo si fosse fermato e che tutte fossero nel
            salotto buono di nonna Speranza.
               «Sembri così sicura di te. Ti invidio perché sei così calma, non ti
            alteri mai. Come accidenti fai ad essere così?».
               Ancora una volta le parole di Renata le tornavano alla mente.


               Ma che sicura? Era, invece, terribilmente timida. A volte avrebbe
            voluto fuggire lontano, rintanarsi in un luogo solitario dove nessuno
            avrebbe potuto scovarla.
               Invidiava la loquacità dell’amica, lei che non aveva mai niente da
            dire. Lei che faticava a trovare le parole, e farfugliava frasi sconnesse
            quando sapeva di essere osservata e giudicata.
               Era così trascorsa la sua adolescenza, il duro mestiere di vivere,
            annegando ed annaspando per conquistare pezzi di sé sempre più


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