Page 157 - Tempo scomposto
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Sono arrivata alla stazione centrale di Potenza quasi al
tramonto. Il viaggio era stato lungo e noioso, come tutte
le volte che prendo il treno, tranne un incontro fortuito,
anzi, direi meglio uno scontro, con una tipa che sciorinava
le sue improbabili teorie negazioniste. Non ho potuto fare
a meno di rispondere, mi sono accalorata, l’ho redarguita
non per farle cambiare idea -no, non ho di queste pretese-
ma perché ritenevo giusto farlo, per un senso di verità. Poi
è scesa, non l’ho più vista e così ho avuto modo di pensare
alle mie cose, ben più gravi e incalzanti.
L’ultima telefonata di Bianca l’avevo fatta sul treno, mez-
z’ora prima di arrivare, e mi aveva messo in agitazione. Mi
era sembrata vistosamente affannata, preoccupata per il
padre, per Manlio, perché non sapeva se avrebbe potuto
lasciarlo da solo: aspettava qualcuno che le desse il cam-
bio, così dovevo ritelefonarle non appena arrivata; forse
avrei dovuto aspettare un po’ per avere la risposta, forse
avrei dovuto prendere un taxi.
Tutto mi sembrò immediatamente irreale, come un
brutto film visto per caso quando, accendendo la televi-
sione, entri dentro la storia, una robaccia, per così dire, e
tuttavia non riesci più a lasciarla e ci sei dentro fino al col-
lo, e anche se capisci che non ti appartiene, che non è cosa
per te, non riesci a staccartene. Mi guardai intorno quasi
a cercare un qualcosa, un punto di riferimento che mi ri-
conciliasse con il luogo che tante volte avevo visto in cir-
costanze più normali, sicuramente più felici di allora. Ero
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