Page 160 - Tempo scomposto
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dato che, in mia assenza, le aveva assunte tutte su di sé.
Questo mi rendeva forte e attiva, mi permetteva di trova-
re, nelle tante cose da fare, lo spazio per pensare e per ren-
dermi pienamente conto di quello che stava succedendo.
Lasciavo Bianca a letto per tutto il tempo che voleva; non
le chiedevo nulla di come occupava le sue giornate quando
andava fuori, speravo, anzi, che uscisse con qualche ragaz-
zo che le piaceva; a poco a poco vedevo i suoi lineamenti
distendersi ed il suo viso riprendere il colorito originario;
avevo preso l’abitudine di recarmi nella sua stanza, le sere
che rimaneva in casa, e chiacchierare un poco con lei,
finché la stanchezza non la vinceva e mi diceva con voce
miagolante di andarmene e di spegnere la luce. Eravamo
tornate indietro nel tempo: lei ancora bambina, io più gio-
vane e premurosa. Fu come recuperare in parte il tempo
perduto, e questo mi procurava una certa soddisfazione e
mi consentiva di affrontare meglio la fatica che l’assistenza
di un malato così grave imponeva. Una di queste sere -non
ricordo più quando- ma doveva essere non una delle pri-
me, Bianca si mostrava inquieta e ostile nei miei confron-
ti. Facendomi forza, la convinsi ad esternarmi quello che
aveva dentro: pensavo così che fosse venuto il momento
di affrontare quel nodo cruciale che continuava a rende-
re ancora difficili i nostri rapporti per cercare di superare
quelle tensioni che strisciando ci rendevano ancora estra-
nee l’una all’altra; mi sentii aggredita, sottoposta ad una
gragnuola di critiche, alcune sensate, altre del tutto infon-
date, ma la feci parlare, attribuendo quest’aggressività allo
stress che aveva subito in mia assenza. Poco per volta si cal-
mò, ma compresi chiaramente che dovevo tenere duro e
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