Page 159 - Tempo scomposto
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non stava bene per niente, aveva l’ossigeno permanente-
mente e richiedeva una presenza costante accanto a sé, così
con la zia Maria avevano dovuto assumere un’infermiera
che si alternava con Rosa di notte.
E quando varcai la soglia di casa, l’impressione che ebbi
fu a prima vista devastante.
Sembrava che fossi mancata per un imprecisato numero
di anni, non il tempo effettivo della mai assenza; giravo
per le stanze e guardavo i mobili come fossero sconosciuti
e non mi fossero mai appartenuti; ogni angolo che prima
mi accoglieva amorosamente mi sembrava ostile e indiffe-
rente, come se non facesse parte di quella trama di rappor-
ti: il gusto, la scoperta, la loro scelta, la loro storia erano
come spariti di colpo, inghiottiti e banalizzati dall’esigenza
di renderli funzionali alle necessità del presente; non più
momenti del vissuto, ma muti testimoni del disfacimento
in atto. Naturalmente il primo pensiero fu quello di recar-
mi da mio marito, di riabbracciarlo, anche se ero certa che
non mi avrebbe riconosciuta; le sue condizioni erano in-
fatti precipitate e non aveva ripreso conoscenza. Ci erava-
mo trasformati in due fantasmi l’uno per l’altra, ed anche
il nostro rapporto si era rattrappito e s’era guastato, come
una pianta malamente irrorata.
Cercai di soffocare lo sconforto che mi aveva investito,
non disgiunto dai sensi di colpa che ogni tanto, a tradi-
mento, mi assalivano. Così mi buttai a capofitto nella
conduzione della casa e nella cura del malato, tenendone
al massimo riparo mia figlia, che talvolta esprimeva una
malcelata disapprovazione nei miei confronti, ubbidendo
all’imperativo categorico di risparmiarle qualsiasi fatica,
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