Page 124 - Corti di carta
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L’ARIA A STRISCE
Il cigolio dei cancelli dietro di lei: prima uno, poi l’altro, poi un
altro ancora in una progressione che non avrebbe dimenticato mai
più, forse, nella vita.
L’hanno assegnata al braccio 4 della Casa Circondariale di **, per
completare il suo tirocinio professionale. Poi avrebbe deciso.
Le detenute sono in un gran camerone dalle pareti stinte e
scrostate di un colore indeciso che una volta doveva essere azzurro,
ma di cui non resta quasi più traccia.
Alcune dipingono: acquerelli dal tratto un po’ infantile in cui
abbondano fiori e uccelli, sole e nuvole in cieli blu cobalto.
Altre cuciono chinando il capo sul lavoro con la puntigliosa
precisione di chi sta facendo un lavoro importantissimo, decisivo per
la sua vita. Un paio di loro, un po’ in disparte, chiacchierano
fittamente ridendo spesso, estranee al lavoro delle compagne.
Lei la nota subito perché non fa niente, ha la testa riversa sul
tavolo e completamente coperta da una massa di capelli neri, folti e
ricci.
Le si avvicina esitante perché il colloquio si presenta tutt’altro
che facile. Le notizie avute dicono che si tratta di un’algerina di 49
anni, tossicodipendente, imbottita di farmaci, con una protesi
dentaria rotta, le mani gonfissime con le unghie lunghissime e
sporche, il corpo pieno di tagli che si è prodotti nel tentativo di farsi
del male.
Autolesionista, depressa, prostituta, clandestina.
I colloqui continuano in un’alternanza di speranze e delusioni. La
detenuta, Maria, le si affeziona in maniera morbosa, le scrive lettere
in cui manifesta tutta la sua amicizia e il bisogno di compagnia. A
poco a poco, lentamente rifiorisce, partecipa ad un corso di
uncinetto, scrive poesie.
Ogni tanto riemergono i fantasmi del passato e ripiomba nel buco
nero da cui sembra uscita. Si taglia nuovamente, litiga con tutti,
dorme tutto il giorno.
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