Page 101 - Tempo scomposto
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cominciasse la scuola, scorrazzando allegramente tra rovi
e sterpaglie, facendo, delle piante, il teatro dei nostri gio-
chi. Non posso dimenticare la mitica casetta tra i castagni,
una sorta di ambiente naturale chiuso tra tre alberi di ca-
stagno che da generazioni era stata considerata come una
casa vera e propria, con un muretto a secco di pietre per
delimitarne l’ingresso.
Colse un’arancia di quelle che stavano ancora sull’albero
e me la porse con gesto gentile e compiaciuto, dicendo-
mi che era il risultato di non so quale innesto particolare,
ed io, che ero nata in un paese in cui la coltivazione degli
agrumi era l’attività economica più importante, seguivo i
suoi discorsi con una certa aria di competenza. Sbucciò
il frutto di cui dividemmo gli spicchi gustandone l’aspra
dolcezza. Volle farmi entrare in una specie di cantina che
si affacciava sull’orto e che utilizzava per tenere gli attrezzi
di lavoro e per preparare e conservare le confetture, le salse
e gli innumerevoli preparati di cui andava così fiero. C’e-
rano infatti numerosi barattoli dai colori più svariati, oltre
che parecchie bottiglie di vino più o meno polverose, in
attesa di essere stappate. Non potei fare a meno di manife-
stare il mio apprezzamento.
Poi entrammo in casa e cominciammo ad armeggiare
per il pranzo; cercai di darmi da fare per aiutarlo, ma lui
m’impediva qualsiasi movimento, col ritornello del “fac-
cio tutto da me, non preoccuparti!” Mi sedetti allora ad
osservarlo e ad osservare l’ambiente circostante, che do-
veva rispecchiare sicuramente la sua personalità. La casa
non era molto grande, ma ammobiliata con gusto e senso
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