Page 108 - Corti di carta
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«Mamma!».
               Avrebbe voluto cercarla, dirle che le dispiaceva, che non sapeva
            cosa le stava succedendo. Sentì la porta che sbatteva chiudendosi.
               Nino era un po’ irrequieto, quel pomeriggio. Non trovò niente di
            meglio  che   fargli  fare   merenda.   Di  nuovo   quella   fame  assurda,
            incontrollabile. Sulla credenza della cucina i panini imbottiti per la
            festa della sera. Non poteva toccarli se no la mamma  l’avrebbe
            diseredata, pensò dubbiosa.
               Cominciò a rovistare nel ripiano più alto del mobile.
               Nino dava segni di inappetenza. Lo posizionò davanti alla televi-
            sione che trasmetteva i suoi cartoni preferiti.
               Trovò   la   Nutella:   un   barattolo   intero,   seminascosto.   Lo   aprì,
            spalmò le fette biscottate. Prima una, poi un’altra, un’altra ancora.
               Fu costretta ad andare in bagno. Un conato dopo l’altro, si disfece
            di tutto quello che aveva ingurgitato. Non avrebbe potuto mangiare
            niente se no, dopo. Si sciacquò la bocca ancora impastata, si guardò
            allo specchio: era pallida e sbattuta. Cercò affannosamente di mettere
            su un po’ di colore che aveva sottratto dai trucchi della mamma. La
            porta d’entrata si stava aprendo.

               Celeste sistemava alcune foto nell’album che le avevano regalato
            per la sua festa.
               C’era un’aria di vetro, un’aria tersa di Dicembre. Quella fotogra-
            fia se la guardava ogni tanto e la scena se la ricordava benissimo: lei
            aveva   appena   cinque   anni,   c’era   il   suo   papà   accanto.   Risentiva
            ancora   il   caldo   del   suo   corpo,   del   suo   maglione.   Tabacco   e
            dopobarba. Un profumo maschile che non avrebbe sentito più. Lei si
            accoccolava accanto al suo corpo solido, quasi a cercare protezione
            dal freddo intenso di quella giornata trascorsa nell’aria sferzante
            della campagna spruzzata di neve.
               La mamma  non c’era: forse sfaccendava in casa, ma  non le
            dispiaceva vivere l’intensità di quel momento senza dividerlo con lei.
               Adesso c’era suo padre che vedeva così poco. Suo padre che la
            chiamava “principessa” e la faceva volare in alto, così in alto da farle
            venire le vertigini.
               Di nuovo quella mano vorace piantata lì, in mezzo allo stomaco.
            Di nuovo quella voglia inarrestabile di mangiare, di ingurgitare, di
            affogarsi nel cibo. Come un automa andò in cucina, afferrò un pezzo


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