Page 112 - Corti di carta
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Andrew».
               «Il capo mi vuole davvero male! Non lo sa, forse, che sono dieci
            notti che non dormo e mi manda nei bassifondi, tra prostitute e
            delinquenti!
               Lasciami un panino in caldo, tesoro, che vengo presto».

               Prese il metrò che a quell’ora era affollatissimo: dappertutto neri
            sciamanti dagli abiti variopinti, le labbra grosse e le treccine nere
            sulla testa.
               Andrew li guardava pensando come dovesse essere New York
            una volta, quando suo nonno era venuto ad Ellis Island in cerca di
            fortuna dalla Calabria. Chissà se c’erano tutti quei negri allora?
               Il lavoro lo sbrigò presto ed il pezzo pronto fu dato al capo che lo
            lesse con la solita smorfia di leggero disprezzo sulla bocca. Non gli
            dava mai sazio, il capo.
               «Va bene. Senti, Andrew, ricordati di quell’affare di cui abbiamo
            parlato, vorrei che lo facessi presto, più presto che puoi. Quando
            parti? Diciamo domani, va bene?».
               «Okay, capo, a lei non rifiuto nulla. Ci sentiamo per i dettagli».

               Prese l’aereo la mattina dopo con un mal di testa terribile, dovuto
            all’insonnia. Dormì tutto il tempo, con la testa reclinata su un lato e
            gli occhiali scuri appiccicati alla faccia.
               «Gradisce un drink, signore?».
               Il   sorriso   stereotipato   dell’hostess   lo   fece   tornare   alla   realtà.
            Slacciò la cintura di sicurezza e si accomodò meglio sul sedile.
            Cominciò a vagare con la mente fino al momento dell’atterraggio.
               Morgana gli era sempre stata ostile: un non so che di non detto si
            frapponeva   fra   loro,   una   barriera   invisibile   che   smorzava   ogni
            contatto “vero”.
               Eppure l’aveva amata come nessuna. L’aveva inseguita nei suoi
            spostamenti continui da una sfilata all’altra, tra una fila e un panino
            smozzicato in fretta, tra un “pezzo” e un’intervista.
               L’aveva costretta a sposarlo, così, almeno, non l’avrebbe più
            rincorsa.
               La casa: quei mattoni rossi su mezza facciata, le inferriate grigie,
            la vite americana che entrava quasi dalla finestra. L’aveva sognata
            con   qualche   voce   infantile   dentro,   con   qualcuno   con   gli   occhi


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