Page 141 - Tempo scomposto
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che stava compiendo. Mi guidò fuori, mi affidò un ca-
nestro chiedendomi di riempirlo di frutta che avremmo
mangiato a pranzo. La giornata invitava, solo un’arietta
frizzante a tratti mi accarezzava il viso riscaldato dal sole.
Svogliatamente colsi qualche frutto di quelli che mi sem-
bravano più maturi e mi dedicai invece ai fiori e alle ver-
dure che la pioggia degli ultimi giorni aveva fatto crescere
copiose. Piegandomi sulle ginocchia potevo assaporare
il profumo che la terra ancora inzuppata emanava; lieve
ma persistente, mi riempiva i polmoni un poco atrofizzati
dalla chiusura forzata. Ora come un tempo, quando ero
molto più giovane, mi ritornò prepotentemente alla men-
te la sensazione di essere parte di un tutto, insignificante
elemento della natura, capace però di coglierne il respiro.
Aguzzando la vista riconobbi due o tre specie di erbe
spontanee che avevo avuto modo di conoscere per avere
fatto, quando ero già in Lucania, un corso presso un agri-
turismo, allo scopo anche di utilizzarle per cucinarle. Le
raccolsi dunque, ricordandone anche i nomi: l’ortica, la
cicoria, il tarassaco. Le avrei proposte a cena, avrei fatto
una sorpresa ad Antonio che avrebbe sicuramente gradito
l’iniziativa, lui che riusciva a sposare felicemente la cultura
psicoanalitica con i saperi tramandati dall’esperienza con-
tadina.
Riflettevo sul fatto che il nostro rapporto si era fatto più
stringente, direi quasi soffocante: due persone che avevano
dovuto costruire dal nulla la loro storia saltando i tempi di
maturazione graduale, trovandosi al centro di un nemico
insidioso e invisibile che fiaccava le loro volontà e impedi-
va i loro spostamenti; ce n’era per uscire fuori di testa. Mi
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