Page 145 - Tempo scomposto
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Queste parole, una dopo l’altra - le ricordo una per una –
furono come un uncino piantato nella mia mente, o come
una scossa elettrica fortissima e devastante, e, preannun-
ciando il ritorno ad uno stato di cose più volte differito,
m’inchiodavano più strettamente alle mie responsabilità.
L’indomani mattina mi sollevai dal letto come un fanta-
sma, e come un automa scesi giù a fare colazione. Dovevo
essere spaventosamente pallida e tirata. Antonio se ne ac-
corse subito, ma aspettò che fossi io a parlare.
Non ricordo esattamente quali parole uscirono dalla
mia bocca, ma il senso era abbastanza chiaro: dovevo an-
darmene subito, occorreva richiedere il permesso (se ce
n’era bisogno) e preparare la valigia. Subito. Non potevo
più aspettare.
La reazione di Antonio fu abbastanza controllata: Non
disse una parola, limitandosi ad annuire, come se fosse
perfettamente consapevole di quanto c’era da fare. Promi-
se che si sarebbe occupato dell’autocertificazione.
Consultammo l’orario dei treni e il primo per Potenza
sarebbe partito l’indomani mattina, così non c’era più
tempo da perdere; in mezzo a una tempesta in cui s’intrec-
ciavano angoscia e senso di colpa, oltre alla fretta terribi-
le di non arrivare in tempo, ammonticchiavo le mie cose
senza ordine e senza criterio. Quella fu l’ultima notte che
trascorremmo insieme. Trovai naturale e consolatorio av-
vinghiarmi alle sue braccia e quasi inerte mi lasciai andare
alle sue carezze che durarono a lungo, quasi tutta la notte.
C’era un che di rabbioso e di violento che non riusciva a
frenare, una sorta di accanimento doloroso come se la ten-
sione accumulata negli ultimi tempi fosse esplosa tutta in-
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