Page 38 - Tempo scomposto
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avermi salutato facendo finta di vedermi in quel momen-
to, mi invitò ad uscire fuori per prendere un caffè e fumare
una sigaretta.
Una bella giornata di sole, com’è tipico delle nostre par-
ti, aveva interrotto gioiosamente le grigie brume invernali
che avevano occupato il cielo in quei giorni, e rendevano
piacevole la nostra permanenza sulla panchina, nel cortile.
-Sto svolgendo una ricerca su alcuni particolari musicisti
e su un particolare tipo di musica. Devo tenere un concer-
to tra qualche tempo e mi devo documentare perché mi
si richiede di fare anche la presentazione della serata, te ne
vorrei parlare.
Non attese neanche la mia risposta affermativa e non so
su quale presunta mia competenza e capacità di compren-
sione Duccio riponesse fiducia, dal momento che non
poteva sapere il mio impegno e le mie frequentazioni per
Amnesty I., di cui facevo parte da qualche anno, ma ascol-
tai le sue parole che fluivano lente e dimostravano studio
e consapevolezza:
-Mi sto occupando della cosiddetta musica concentrazio-
naria, e con ciò si intende quel genere di musica creata
nei campi di prigionia, transito, lavori forzati, concentra-
mento e sterminio. Per intenderci nelle strutture create
dal Terzo Reich, in Italia, in Giappone, nella Repubblica
sociale italiana, ma anche nei gulag dell’URSS. Si tratta
di componimenti creati da musicisti perseguitati, impri-
gionati, deportati, uccisi o sopravvissuti di qualunque
estrazione nazionale, sociale, religiosa o artistica. È una
musica creata in condizioni estreme di privazione dei di-
ritti fondamentali della persona che non ha ancora una
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